13 risposte a "ATTACCO DI PANICO O VITA DI MERDA?"

      1. Capisco, e capisco anche che ci sia tanta gente che usa il termine a sproposito, però chi ne soffre veramente spesso ha difficoltà a riconoscere che ha bisogno di aiuto, e non merita di essere preso per il c… o colpevolizzato.

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      2. Ma no Black, non era mia intenzione prendere per il culo nessuno. Non era quello il tono. E’ un tono molto ironico e capisco che possa non piacere. Se mi dedicassi a scrivere anche di tutte le eccezioni buone che ci sono allora perderei il mio scopo, quello di parlare delle eccezioni cattive, senza pretendere di farne una regola. Il senso di responsabilità è comunque un aspetto da valutare nella maggior parte dei dolori che ci pesano sull’anima. Non per cercare la colpa del problema, ma la (co) responsabilità della soluzione.

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      3. No problem, non volevo fare polemica nel tuo spazio, probabilmente non ho capito l’ironia, per me è un argomento talmente delicato che non riesco a scherzarci su. Un saluto:-)

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      4. Ma non ti preoccupare di nulla, é uno spazio condiviso ed è fatto perché tutti possano intervenire e dire la propria:) Ei, sono pur sempre una psicoterapeuta, la capisco sul serio la sofferenza. Ci sono tante cose che si possono fare, l’importante è non sentire che non ci sia soluzione. Un saluto grande a te ma sopratutto tanto coraggio:)

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  1. l’attacco di panico e’ come la depressione: la malattia degli egoisti.Se provi ad uscire da te stesso e ti proietti verso l’altro forse trovi il coraggio e la forza di affrontare le difficolta” della vita

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    1. Ciao Andrea, certo che me lo puoi chiedere. Quando si parla di attacco di panico ci si riferisce ad una sintomatologia fisica molto simile, anche tra persone diverse. L’ansia portata ad un livello in cui non si riesce a fare finta che non ci sia, è solo uno dei sintomi o spesso la causa del panico, come di tanti altri problemi e fastidi che ci toccano in quanto esseri umani. Personalmente sto sempre molto attenta a utilizzare i termini nosografici e diagnostici, li tengo in panchina finché posso, ma posso considerarla una scelta personale che tendo a conservare anche professionalmente. Per rispondere alla tua domanda, sì, è successo anche a me, in un periodo in cui la mia vita sembrava una pentola a pressione. Oggi mi sento di poter ringraziare quei momenti perché mi hanno voluto raccontare, sebbene con una certa prepotenza, quanto fosse giusto che mi fermassi un momento a raccogliere i feriti e le idee. Non so bene il motivo della tua domanda ma posso immaginare che, non volendo, abbia toccato la tua sensibilità con certe parole, come a far sembrare che abbia poco rispetto o poca cura di alcune sensibilità. Posso dirti che è tutto il contrario, ma mi sembra giusto osservare la situazione anche da punti di vista meno convenzionali. Se hai dei dubbi, delle curiosità o semplicemente voglia di confrontarti su questo punto con maggiore libertà, ti posso dare volentieri la mia e-mail e ne possiamo parlare meglio. Un saluto e grazie a te

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  2. Quando si soffre di attacchi di panico in maniera invalidante non si tratta più di usare uno scudo contro le responsabilità o di non avere il coraggio di trasformare la propria vita…si arriva a non alzarsi più dal letto, paralizzati dal terrore, a perdere anche 20 chili, a desiderare di sparire per non far soffrire più i cari che ci vedono ridotti in questo stato. Sicuramente hai conosciuto casi del genere e lo sai meglio di me. Io purtroppo non sono riuscita ad uscirne con la psicoterapia (che però mi ha aiutata tantissimo) e ho dovuto cedere agli psicofarmaci (tuttora me ne rammarico ma ero in uno stato pietoso, non più sostenibile). Anche io capisco la provocazione e riconosco che in giro ci sono molti finti “impanicati” che avrebbero bisogno di una bella scrollata. Forse però bisognerebbe distinguere tra gli attacchi di panico random (che possono capitare a chiunque), quelli legati ad un singolo periodo stressante e invece quelli cronici (come ahimè il mio caso, sono tornati in vari periodi della mia vita, sia felici che infelici). Forse le persone che si dicono perplesse appartengono come me alla terza categoria. Sono sicura che non volevi sminuire, provo solo a spiegare perchè qualcuno possa sentirsi urtato. Anche la mia psicoterapeuta in certi momenti mi ha dato l’impressione di “prendermi alla leggera”, dal mio punto di vista. Eppure è una professionista straordinaria. Si toccano corde molto molto sensibili, ferite ancora aperte, tutto qui. Un saluto

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    1. Cara Sara, grazie mille per il tuo commento e per la tua riflessione più che giusta e più che necessaria. Non mi sento di controbattere in alcun modo perché sento la potenza e la sensibilità con cui scrivi queste parole. Mi permetto di condividere con te soltanto un pensiero che mi sta molto a cuore. Ciò di cui proprio non possiamo privarci in nessun caso è il senso di identità e di identificazione. È proprio il verbo “essere” che benevolmente ci costringe a farlo. Anzi, in alcuni casi preferiamo un’identità negativa a sentire di non averne nessuna. Sopratutto nei problemi che ci portiamo dietro e dentro da tanto tempo. Per questo motivo può risultare difficile liberarci di alcuni pesi, nonostante ci rendano la vita un gran casino. È proprio quando si stravolge tutto quanto, dall’aspetto fisico all’aspetto dell’anima, che facciamo ancora più fatica ad uscire da certe definizioni e ad affrontare la vita, che già di suo, se uno ci pensa fino in fondo, è una cosa da panico. Con questo non voglio dire che chi non vuole guarire manca di volontà o coscienza, ma solo che come esseri umani abbiamo tutto il bisogno e il diritto di sentire che la nostra identità è definita da qualcosa, anche da qualcosa che ci fa male ma che ci fa sentire vivi anche perché stiamo soffrendo. Io non credo ci siano impanicati di serie A o di serie B, credo che la sensazione sia molto simile per tutti, poi il mondo tutto intero fa sì che il problema rimanga un puntino in un universo oppure un universo di puntini. Il mio desiderio più profondo e più sincero è quello di spingerci a rivoltarci verso i coltelli che ci inchiodano al muro, con le unghie e con i denti, e magari accorgerci che quella che credevamo essere una lama tagliente è invece un manico che aspetta solo la nostra mano. Un abbraccio e grazie ancora, Olimpia.

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